IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo penale contro Andreola Silvio, Zazzi Stefano e Pelizzatti Luciano, rinviati a giudizio con decreto del g.i.p. in data 5 dicembre 1996 per rispondere dei reati: Capo A) - Andreola, di cui agli artt. 110, 81, 323 c.p., 20 lett. c), legge n. 47/1985, 13 legge n. 1086/1971 per avere, nella qualita' di sindaco del comune di Valfurva, in concorso con altri due (Zazzi e Pelizzatti) e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, abusato del proprio ufficio al fine di avvantaggiare patrimonialmente Zazzi, progettista e direttore dei lavori, e Pelizzatti, costruttore e consigliere delegato della Zecca prefabbricati S.p.a., con danno all'amministrazione comunale e a Vitalini Irma: in particolare dopo aver fatto redigere all'ing. Zazzi, membro della commissione edilizia un progetto per la realizzazione di parcheggio pubblico comunale e box interrati privati, richiedeva concessione edilizia nella sua qualita', bandiva licitazione privata per l'appalto dei suddetti lavori a costo zero per il comune con la convenzione di cedere il diritto illimitato nel tempo nel sottosuolo alla ditta aggiudicataria, la ditta Zecca, cosi avvantaggiandola nel non pagare gli oneri dovuti e nel realizzare box sotterranei di sua proprieta' in assenza di valida concessione edilizia in zona vincolata, in quanto a distanza minore di 10 metri dal corso di acqua protetto, torrente Frodolfo, senza progetto definitivo e senza la denuncia all'ufficio del genio civile competente per territorio, ed arrecando danno economico a Vitalini Irma cui espropriava una striscia di terreno per la realizzazione della rampa di accesso ai box privati ed all'amministrazione comunale che non introitava gli oneri dovuti per la realizzazione dei box interrati. Accertato in Sondrio fino al 14 dicembre 1995. Capo B) - Zazzi e Pelizzatti, dei reati di cui agli artt. 110, 81, 323 c.p., 20 lett. c), legge n. 47/1985, 13, legge n. 1086/1971 per avere in concorso con il sindaco di Valfurva e fra loro, nelle circostanze di cui al capo che precede, realizzato le opere ivi descritte in assenza di concessione edilizia in zona vincolata, in quanto a distanza minore di 10 metri dal corso di acqua protetto, torrente Frodolfo, senza progetto definitivo e senza la denuncia all'ufficio del genio civile competente per territorio, il primo in qualita' di direttore dei lavori e il referente della ditta Zecca prefabbricati S.p.a., il secondo in qualita' di esecutore delle opere. Accertato in Sondrio fino al 14 dicembre 1995; Il Collegio osserva quanto segue. A norma dell'art. 129, comma 1, c.p.p. "in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che ... il fatto non e' previsto dalla legge come reato ... lo dichiara di ufficio con sentenza". Prima di procedere nell'ulteriore corso del processo, pertanto, occorre verificare se, in seguito alla modifica normativa recentemente intervenuta, ricorrono i presupposti per pronunciare sentenza di n.d.p. perche' il fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato. Siffatta verifica, ovviamente, deve precedere l'esame della eventuale questione di legittimta' costituzionale dell'art. 323 c.p. giacche' - in caso di riscontro positivo - la questione stessa difetterebbe del requisito della rilevanza. Ed invero, non avendo lo jus superveniens operato una abolitio criminis del reato di cui all'art. 323 c.p., bensi' la sostituzione dell'originaria fattispecie incriminatrice con altra, di diversa formulazione ed ampiezza ("salvo che il fatto costituisca un piu' grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a se' o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto e' punito..") non puo' tout court ritenersi che i reati contestati agli odierni imputati (di cui all'art. 323 c.p. nel testo antevigente) costituiscano fatto non (piu') previsto dalla legge come reato, ma deve verificarsi se i medesimi possano essere sussunti anche nella nuova fattispecie incriminatrice. Nella specie, dunque, opera il disposto di cui all'art. 2, c.p.v., c.p., in forza del quale "nessuno puo' essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato": ne consegue che la verifica che le condotte ascritte agli imputati non possano essere inquadrate nella fattispecie incriminatrice come attualmente vigente - neppure in astratto, e fatta salva la piu' penetrante verifica in sede di decisione all'esito dell'istruttoria dibattimentale, in caso di esito negativo di siffatta verifica delibativa operata ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 129 cit. - implicherebbe l'immediata pronuncia di sentenza di n.d.p. perche' il fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato. Soltanto nell'ipotesi di verifica della sussumibilita' - in astratto - delle condotte ascritte agli imputati anche nella nuova fattispecie incriminatrice (e peraltro anche dell'insussistenza dei presupposti per pronunciare sentenza di n.d.p. - ex art. 129, commi 1 e 2, c.p.p. - per estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, stante la diminuzione dei termini di prescrizione conseguita alla modifica normativa de qua), acquisterebbe eventualmente rilevanza nel presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale de qua. Ed invero in siffatta ipotesi, giusta il disposto di cui all'art. 2, comma 1, c.p. ("nessuno puo' essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato") e di cui all'art. 2, comma 3, c.p. ("se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono piu' favorevoli al reo..."), la norma di cui all'art. 323 c.p. antevigente troverebbe necessaria applicazione, dovendo in tale ipotesi il collegio rispettivamente verificare se la condotta ascritta agli imputati rientri anche nella antevigente fattispecie incriminatrice e, in caso positivo, quale delle due norme sia piu' favorevole per i rei. In tale ipotesi, e soltanto in tale ipotesi, la questione diventerebbe rilevante, poiche' il suo eventuale accoglimento ( con conseguente espunzione ex tunc dall'ordinamento giuridico dell'art. 323 c.p. nel testo antevigente) determinerebbe - a norma del richiamato art. 2, comma 1, c.p. - l'emanazione di sentenza di n.d.p. perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato. L'opzione ermeneutica accolta dal collegio trova conforto nella giurisprudenza di legittimita', che ha affermato, nell'analoga circostanza dell'abrogazione dell'art. 324 c.p. operata con legge n. 86/1990 - che anche dopo l'abrogazione "la condotta che prima della suddetta novella veniva punita come interesse privato in atti d'ufficio, conserva rilevanza, sul piano penale, se ed in quanto comprenda tutti gli estremi per la configurabilita' del delitto di abuso di ufficio, cosi come descritti nel nuovo testo dell'art. 323 c.p." (cosi' Cass. 6587 del 13 giugno 1991). Come gia' osservato, nella presente sede detta verifica deve necessariamente essere operata in astratto, al fine di accertare se tutti gli elementi costitutivi dell'illecito penale come descritto nel nuovo testo dell'art. 323 c.p. "siano stati ritualmente descritti nell'imputazione o altrimenti contestati all'imputato" (cosi Cass. 553 del 25 gennaio 1993 ), o comunque se gia' dalla stessa formulazione del capo d'imputazione si evinca l'insussistenza di almeno un elemento costitutivo del nuovo reato in oggetto. Ritenuto che, nel caso di specie, non sussistono i presupposti per l'emanazione della sentenza di n.d.p. suddetta, poiche' dall'esame dei capi di imputazione risulta che negli stessi sono state contestate agli imputati condotte di abuso astrattamente sussumibili nel nuovo testo dell'art. 323 c.p., essendo la condotta descritta come avvenuta nell'esercizio delle funzioni di sindaco, non potendosi escludere nella presente sede che l'abuso come contestato sia consistito anche in violazione di legge, ed avendo la condotta descritta nel capo di imputazione asseritamente cagionato un ingiusto vantaggio patrimoniale a terzi. Essendosi, poi, i reati come contestati consumati in data 14 dicembre 1995, non sussistono neppure i presupposti per dichiarare la sopravvenuta prescrizione dei reati. Risulta evidente pertanto - giusta quanto sopra argomentato - la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale in oggetto, osservando ulteriormente che la norma di cui all'art. 323 c.p. antevigente trova necessaria applicazione sin dalla presente fase del giudizio (ad esempio ai fini della valutazione circa la rilevanza delle prove). In relazione alla non manifesta infondatezza della questione, osserva il collegio: che il principio di tassativita' cui, a norma dell'art. 25, secondo comma, Cost., devono conformarsi le norme incriminatrici penali, esprime l'esigenza di evitare la genericita', l'indeterminatezza della fattispecie astratta, in modo tale che sia assicurata l'individuazione, a mezzo degli usuali metodi ermeneutici, della condotta penalmente rilevante; che l'interpretazione corrente della norma de qua ricomprende nella condotta dell'abuso ogni "violazione del parametro di doverosita' come risulta dalle regole normative improntate ai principi di legalita' imparzialita' e buon andamento della p.a." (cosi Cass. 9730/1992), e "qualsivoglia comportamento del pubblico ufficiale esplicantesi in una illecita deviazione dai fini istituzionali della p.a." (cosi' Cass. 5340/1993), nonche' gli atti viziati da eccesso di potere; che la suddetta interpretazione, che costituisce diritto vivente non consente di escludere dubbi sull'indeterminatezza della fattispecie penale di cui trattasi, stante la aleatorieta' di figure quali "parametro di doverosita'" e "fini istituzionali", e l'assenza di una definizione normativa della figura dell'eccesso di potere, i cui contenuti sono stati individuati soltanto ex post dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa ed e' figura il cui contenuto e' in costante evoluzione e cambiamento; che conseguentemente appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale come sopra prospettata, da sollevare d'ufficio;